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Monreale: quando un proiettile uccide per caso

A volte la morte arriva per errore, come nel caso di Monreale, dove il terzo colpo, partito senza una mira precisa, ha colpito in modo casuale. Come accade nel gioco Plinko, dove ogni rimbalzo può cambiare completamente il risultato, così anche quel proiettile ha preso una traiettoria che non era destinata a nessuno — eppure ha colpito, ha ucciso.


La dinamica dell’omicidio

È successo tutto in pochi secondi, in una strada di Monreale che, fino a quel momento, sembrava vivere un giorno come tanti. Un uomo viene raggiunto da colpi d’arma da fuoco: i primi due mirati, con l’intento di colpire. Il terzo, invece, no. Una deviazione, un rimbalzo, una traiettoria modificata da qualcosa di invisibile.

Ed è proprio quel terzo proiettile a trasformarsi in tragedia assoluta: colpisce un passante. Una vittima che non c’entrava nulla. Nessun legame, nessun motivo. Solo un tiro sbagliato. Solo il caso.


L’effetto collaterale della violenza

Quando si spara per uccidere, chi tiene in mano l’arma crede di avere il controllo. Ma nella realtà, il controllo finisce nel momento stesso in cui il proiettile lascia la canna. La sua traiettoria può cambiare, deviare, impattare superfici impreviste, rimbalzare — proprio come accade nel gioco Plinko, dove la pallina scivola e sbatte a destra e sinistra finché non finisce in un punto casuale.

La differenza, qui, è che non ci sono premi. Solo vite distrutte.


Una tragedia che apre interrogativi

Chi era la vittima “casuale”? Una donna che passava per caso, un lavoratore, un ragazzo in scooter? Non importa. L’assurdità sta proprio lì: chiunque poteva trovarsi in quel punto, in quel momento. E chiunque poteva essere colpito. L’arma è stata puntata su uno, ma ha finito per colpire un altro. E questo rende tutto ancora più ingiusto.

La casualità della morte non è nuova, ma quando accade così — in mezzo alla strada, durante il giorno, in un paese come Monreale — assume una potenza ancora più crudele.


I precedenti non ci insegnano nulla?

Non è la prima volta che accade qualcosa del genere. In diverse città italiane, da Napoli a Palermo, colpi vaganti hanno fatto vittime tra gli innocenti. Ma nonostante questo, le armi continuano a girare. Le vendette personali si trasformano in sparatorie pubbliche, e chiunque può ritrovarsi in mezzo senza saperlo.

E ogni volta ci si chiede: “E se fossi stato io?”.


Plinko è solo un gioco. Qui si parla di vite.

Nel gioco Plinko, la pallina scende lungo una tavola inclinata, sbattendo su una serie di ostacoli. Dove finirà? Nessuno può dirlo con certezza. È imprevedibile. È la sua natura. Ma un gioco resta un gioco.

Nel mondo reale, però, l’imprevedibilità può essere letale. Il terzo proiettile, quello che non doveva colpire nessuno, diventa l’elemento che spezza una vita. Perché sì: è successo per caso. Ma il caso, quando si spara in strada, è sempre in agguato.


La responsabilità del contesto

Non si può più parlare solo di “errori tragici”. Ogni volta che un’arma viene usata in un contesto urbano, il rischio che qualcuno venga colpito per sbaglio è reale. Non è un’eventualità remota: è quasi inevitabile.

E allora la vera domanda è: chi permette che armi girino con questa facilità? Chi tollera che in certi ambienti la violenza sia considerata una risposta? Il punto non è solo l’assassino. Il punto è il sistema.


Conclusione: colpa, caso e coscienza

Il caso ha ucciso, ma la responsabilità resta. Un proiettile vagante non è colpa del destino, ma di chi ha deciso di sparare. E ogni volta che la cronaca racconta episodi come questo, ci costringe a guardarci allo specchio come società.

La casualità può spiegare il come, ma mai il perché. E se non si cambia alla radice, continueremo a contare le vittime del caso — come in una partita impazzita di Plinko. Solo che qui, quando si perde, qualcuno muore davvero.

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